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Le armi e la legge

Articolo pubblicato su Armi e Tiro marzo 2012 n. 3


Leggendo la bozza di circolare con la quale il ministero competente intenderebbe intervenire a seguito dell’abolizione del catalogo nazionale delle armi comuni da sparo, si comprende perché l’opposizione più aspra alla abolizione del valore legale del titolo di studio provenga proprio dal ministro Cancellieri.

Entrando nel concreto, non turba neppure troppo l’evidente intenzione di annullare ogni effetto ad una legge dello stato, qual è il comma 7 dell’art. 14 della c.d. “Legge di stabilità” che ha, per l’appunto, abolito il catalogo delle armi comuni da sparo al fine segnalato nella rubrica dell’articolo, e cioè per ridurre gli oneri amministrativi per imprese e cittadini. Per non dire delle evidenti turbative alla concorrenza che il catalogo, con le ondivaghe decisioni della commissione (vedasi, per puro esempio, alla voce capacità dei caricatori, citata nella bozza di circolare in questione davvero a sproposito), ha determinato e di cui vi è, a quanto pare, ampia testimonianza nei lavori preparatori.

Ciò che turba di più, invece, è l’evidente spregio dell’estensore o degli estensori nei confronti di  alcuni dei principi fondamentali del nostro ordinamento giuridico. Tra questi, colpisce particolarmente il tentativo violare il principio di stretta legalità in materia penale, con la curiosa pretesa di stabilire, con un atto amministrativo quale è una circolare, il perimetro delle condotte penalmente rilevanti, quantomeno con riferimento ai reati concernenti le armi da guerra e tipo guerra e, parzialmente, con riferimento a quello di alterazione. Ancora una volta, fondamentale è il riferimento alla capacità dei caricatori, vero punctum dolens della normativa dopo l’abolizione del catalogo – che, almeno, assolveva ad una esigenza di certezza giuridica, in un paese quale il nostro ove la linea più breve tra due punti è …la spirale – e l’entrata in vigore, lo scorso primo luglio, del D. L.vo 204/10 che ha novellato l’art. 19 della L. 110/75, facendo perdere la qualità di “parte di arma”, ai caricatori delle armi comuni.

In una parola, la bozza di circolare, avrebbe la pretesa di stabilire, in spregio al richiamato principio di stretta legalità, la rilevanza penale per la fabbricazione, importazione, detenzione, commercio, porto ecc. ecc. di armi munite di caricatori aventi capacità superiore ai 15 colpi per le armi corte ed i 5 per le armi lunghe. Ora, a parte l’ovvia osservazione che ciò contrasta anche con numerose catalogazioni degli anni precedenti (vogliamo rammentare le Glock 17 a 19 colpi, solo per fare il primo esempio che viene in mente?), contrasta altresì con l’unica interpretazione  oggi risultante dal combinato disposto degli artt. 1 e 2 L. 110/75, art. 19 medesima legge già richiamato, art. 2 L. 185/90, D.M. 13.6.2003, cat. 1 lettera b).

Ove si comprenda che le nozioni oplologiche ivi continuamente richiamate devono intendersi come elementi normativi di fattispecie extragiuridici (per capirci, come il “comune sentimento del pudore” di cui all’art. 529 del c.p., che portò la Cassazione, nel 1980, a decidere della rilevanza penale del seno nudo balneare, sulla base delle copertine dell’Espresso e di Panorama di quegli anni!), si deve ritenere che la normativa in vigore porti alla classificazione di arma comune, per le due categorie problematiche (le lettere d e g del citato art. 2 L. 110/5), per tutte le pistole semiautomatiche con capacità del caricatore inferiore ai 20 colpi, esattamente come le carabine semiautomatiche (purché non rientranti nella nuova categoria delle armi demilitarizzate di cui all’art. 13 bis della medesima legge) in calibro 308 Winchester; meno di 25 colpi di capacità per analoghe armi in 223 Remington, e meno di 30 in 7,62 x 39 sarebbero da riconoscersi, a dispetto della bozza di circolare in questione, come capienze ammesse dalla nostra legislazione dopo le innovazioni legislative in parola.

Ultima , telegrafica osservazione tra le numerosissime che comunque il testo diffuso da Armi  Tiro suscita nello scrivente: come sia mai possibile concepire di imporre a qualcuno “sotto la propria responsabilità a pena di mendacio” (sic!) di attestare la conformità delle armi di cui voglia fare produzione o importazione  alle categorie previste dall’art. 2 della legge 110/75. Si vorrebbe, da parte del ministero, far attestare, in buona sostanza, non un fatto, ma un giudizio. Un giudizio in diritto. Sarebbe, questa, una grande stravaganza. Non lo è unicamente perché siamo nel paese che conosce l’autocertificazione dell’esistenza in vita. Con appositi moduli che ammoniscono gli eventuali “fantasmi bugiardi” delle conseguenze penali di una falsa dichiarazione in tal senso. C’è, come sempre, da ridere per non piangere.

 

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